Il Timorasso ha gli occhi azzurri. Sì, perché come ci spiega Luigi Boveri, uno dei grandi custodi di questa nobile varietà tutta Italiana, pur avendo il corredo genetico all’85% da bacca rossa si manifesta poi come un bianco. I cromosomi sono quelli di Cabernet Franc, Barbera, Merlot, Sangiovese, ma gli alleli sono quelli di Riesling, Chardonnay, Gewurztraminer. Sarà un caso di dominanza incompleta, codominanza, eredità poligenica? Se il povero Mendel avesse fatto i suoi esperimenti con le uve piuttosto che con i piselli probabilmente sarebbe impazzito! Perché la vite si sa è una pianta che muta in un attimo e che dà un bel po’ di filo da torcere nelle analisi per la caratterizzazione della biodiversità e l’identificazione delle varietà.




Condivide una storia secolare e complicata con la sua Tortona il Timorasso, con momenti di grande fulgore che si alternano a momenti di assedio e devastazione totale. Crocevia di grandi strade consolari al tempo dei Romani, baluardo difensivo, avamposto civile e militare, Tortona è sempre stata funestamente strategica sulla scacchiera dei grandi conquistatori: da Augusto a Teodorico, da Federico Barbarossa a Ludovico il Moro, dai Bizantini ai Longobardi, dai Visconti agli Sforza. Tutti l’hanno conquistata, amata e poi distrutta, per ultimo Napoleone che alla fina ordinò la distruzione del Castello e delle fortificazioni.
Non si è mai piegata completamente e sempre fiera è risorta perché “Tortona è simile a un leone in virtù di tre doni”. La leggenda difatti vuole che qui vi abbiano dimorato anche i Templari, e che sia uno dei possibili luoghi che custodiscono il segreto del santo Graal con i suoi tre doni: il Corpo, il Sangue e lo Spirito.
Ed è con questo appassionato racconto di Luigi che abbiamo iniziato la nostra seconda DVinoVertigo. Il Timorasso condivide con la sua terra la stessa storia di coraggio e resilienza. Resistente ma incostante, pregiato ma poco vigoroso rispetto alle altre varietà a bacca rossa e bianca dell’Alessandrino, dopo la devastazione della fillossera ha finito per essere quasi completamente dimenticato.




Poi Walter Massa, insieme ad altri produttori, negli anni 80 ha restituito questo santo Graal della enologia Italiana al mondo, con somma gioia di tutti noi winelover, e da quel momento in poi la sua storia non ha più segreti. Anche Luigi ha voluto accettare la sfida e, nonostante lo scetticismo del padre, ha lavorato duro per molti anni vincendo alla fine la sua scommessa. Se mai qualcuno avesse dubbi, le otto annate che abbiamo degustato ne decretano inequivocabilmente il meritato successo definitivo.
Sarà l’anima rossa di questo eccezionale bianco che lo rende longevo e adatto all’invecchiamento, e saranno i suoi “occhi azzurri” a renderlo estremamente bevibile e piacevolmente fresco negli anni della sua giovinezza. Un vino estremamente godibile ma piacevolmente complicato che come pochi altri ha il dono di saper accontentare tutti i gusti e i palati: evolve, matura, affina ma resta fedele a sé stesso. Sorso potente ma sempre armonioso, presenta in tutte le annate le sue note caratteristiche di idrocarburi, carciofo, fiori di campo e erbe aromatiche che si intarsiano più o meno intensamente, e con trame sempre diverse, a sentori di frutta estiva più o meno matura, sentori agrumati e di zafferano, in un ipotonico gioco caleidoscopico scandito dal tempo. E poi c’è sempre lui, l’ho già detto e lo ripeto: il mare arriva fin sui Colli Tortonesi, e qui in questi otto calici vi assicuro si sentiva tutto! Perciò di Filari di Timorasso prendetene sempre qualche bottiglia in più, perché è un peccato non berlo subito così come è un delitto non aspettarlo per qualche anno!


Non so dirvi quale sia l’annata che mi ha conquistata, non sarebbe nemmeno giusto fare una scelta se sono tutte da 10 e lode! E allora solo tre annotazioni: 2006 la più emozionante, 2012 la più esemplare, 2017 una storia così diversa che dovrò raccontarvela con calma un’altra volta! Il Timorasso ha gli occhi azzurri, esattamente come Luigi Boveri!