L’anno della consapevolezza

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La Campania è la mia Terra, io le appartengo e Lei appartiene al mio cuore, legate da quel vincolo invisibile e indissolubile che inesorabilmente finisce per riportarmi in questa casa dalla quale alla fine non me ne sono mai andata veramente. Guardo la mia Ischia dalla finestra di quella che è stata la mia camera da letto, una vista mozzafiato che ho finito per prendere per scontata finché non sono andata via. Il giardino confina con una vigna nella quale non ricordo di aver mai visto lavorare nessuno in tanti decenni, eppure i filari sono sempre in ordine come per magia.

Questa non è una semplice casa, è un rifugio d’amore come l’ha poeticamente descritta mia figlia: l’amore per la famiglia, per le radici, le origini e i legami di sangue. Qui “mamma ogni tanto ci regalava un momento speciale, ci portava sul tetto, ci sdraiavamo e lei ci indicava le costellazioni che noi facevamo finta di vedere” cit. mia figlia, anche questo è amore! Ci siamo cresciuti un po’ tutti qui, abbiamo passato i Natali più belli, i primi compleanni, le prime delusioni d’amore e le prime sbornie accidentali, perché qui è nato anche l’amore imperituro per il buon vino, a cominciare dal buon vino locale.

Ed è per questo, e per mille altri motivi che mi legano a questa Terra, che raccontare Campania Stories  2021 con quel distacco che garantisce la valutazione oggettiva, per me diventa un compito particolarmente arduo! Ma sono certa di condividere questa “difficoltà” con tutti quelli che hanno partecipato all’evento, a prescindere dal fatto che fossero autoctoni o meno! Sì, perché qui non si è trattato solo di assaggiare le nuove annate delle ottantanove cantine presenti con oltre 300 referenze, ma l’organizzazione ha previsto una full immersion a 360 gradi nella Campania del vino e non solo, che è durata una settimana intera! Con il Campo Base all’Università Gastronomica “Principe di Napoli” ad Agerola, diretta dall’immenso Heinz Beck, gli Ospiti hanno potuto fare il pieno di bellezze artistiche e paesaggistiche, e di bontà enogastronomiche. Numerosissime le visite in Cantina, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, passando per l’Irpinia e il Sannio, da Caserta a Salerno, con visita di chiusura all’isola di Capri. E ogni mattina le finestre si spalancavano sul mare della Divina Costiera, con il Sole e il Cielo che inondavano gli occhi! Non si poteva fare di meglio, davvero!

Una Terra Antica, Nobile, Sacra, Unica, Bellissima. La grande storia del vino in Italia nasce qui in Campania, su queste colline, tra questi monti vulcanici e a tratti dolomitici, in queste caldere, in mezzo a questo mare. Ed è una storia gloriosa e bellissima! Era qui, dal porto di Napoli che le bottiglie più pregiate del mondo prendevano il largo verso le Corti di Regni lontani, dove il buon vino non doveva mai mancare sulle tavole dell’aristocrazia. Dai tempi di Roma antica e per diversi secoli, tra mito e leggenda, la Campania è stata consacrata a Bacco come nessun’ altra terra. Ma i tempi cambiano, l’arte del vino viene esportata in tutto l’Impero, e come nelle migliori famiglie, qua e là i discepoli cominciarono a superare i maestri, la Campania perde per tanto, troppo tempo il suo primato e tutto il resto è storia, compresa la devastazione della Fillossera.

Noi Italiani però, tremendamente attaccati alle tradizioni, tramandate nei secoli e forgiate nel DNA e nella nostra memoria più profonda, abbiamo recuperato quasi tutti i nostri vitigni autoctoni, ricostruendo con meticolosa pazienza il prezioso mosaico ampelografico Nazionale. Viene da pensare che qui in Campania questo tipo di memoria sia un po’ più profonda e radicata che altrove.

“In Campania si contano infatti oltre 100 vitigni autoctoni: un numero che non ha pari in nessuna delle aree viticole del mondo. L’originalità dei vini regionali, dai profili aromatici fortemente riconoscibili, si deve proprio alla ponderata scelta da parte degli attori del territorio di proteggere ed incentivare, nel corso del tempo, i vitigni locali. Nello scorso ventennio, mentre tutte le regioni vitivinicole del mondo concentravano la propria attenzione sui vitigni “internazionali”, la Campania ha scoraggiato, e in alcuni casi vietato, l’impianto di vigne con vitigni internazionali, puntando invece sulle varietà indigene.” (fonte Assessorato Agricolture Regione Campania)

Tutto ciò premesso, lasciamo adesso la parola ai calici, numerosissimi e rigorosamente alla cieca. La prima giornata di degustazione, dedicata a spumanti e bianchi, conferma la vocazione bianchista della Campania con l’asticella della qualità media che si posizione sempre più in alto, e alcune bottiglie di eccellenza che consolidano con decisione la loro posizione tra i bianchi più pregiati d’Italia e non solo. Greco di Tufo e Fiano d’Avellino che convincono sempre di più, sia nell’interpretazione che nella qualità, e con alcune etichette che rompono senza indugio gli schemi e provano ad andare oltre, sfidando il tempo con un conclamato potenziale di invecchiamento.  Ne sentiremo parlare ancora per molto! E non è da meno la Falanghina, semplice di indole e complessa nell’anima a prescindere dallo specifico areale di produzione.

Da instancabile ambasciatrice e convinta appassionata dei cosiddetti “figli di un dio minore”, ho indugiato altresì in numerosi assaggi a base di Pallagrello Bianco, Coda di Volpe, Caprettone, Biancolella, Pepella, Ginestra, Fenile e Ripoli, non necessariamente in questo ordine e spesso in blend! Corpi sottili rispetto ai nerboruti fratelli più popolari, con qualche nota eccezione, puntano su agilità, freschezza e charm. Sono una parte importante del pregiato mosaico ampelografico della Campania e meriterebbero una notorietà maggiore. Parliamone più spesso!

La seconda giornata, dedicata a rosati e rossi, ha visto essenzialmente due grandi protagonisti: il Piedirosso e l’Aglianico. Sempre più convincente il Piedirosso, che colpisce per la sua immediatezza, fragranza e leggiadria. Un vitigno non facilissimo da coltivare e ancor di meno da gestire in cantina. Spiccano le espressioni del Vesuvio, dei Campi Flegrei, e di Roccamonfina, a sottolineare il fatto che questo vitigno evidentemente ha trovato la sua dimora d’elezione sui terreni vulcanici.

Con l’Aglianico la faccenda si fa un po’ più complicata, ed è proprio qui che ho avuto qualche delusione di troppo. Non dimentichiamo però che l’Aglianico, nella ricerca incessante del suo legame con la terra d’origine, ha bisogno di tempo per spiegarsi con garbo e addolcire il suo linguaggio, pur senza rinunciare alla sua forza austera.  Difficile e scontroso, evolve con timidezza e ritrosia, ed è solo il tempo che riesce a plasmare la sua poderosa struttura, la potenza dell’alcol, e l’esuberanza del tannino. Ci vuole tempo affinché il legno agevoli l’elevazione delle sue intime parti cedendo lentamente alla seduzione dell’ossigeno. Non ci sono scorciatoie, e ogni forzatura in tal senso alla fine restituisce vini stanchi, talvolta leggermente ossidati, dove la presenza del legno diventa quasi fastidiosa. E se qualcuno non fosse ancora convinto di tutto ciò, c’era il meraviglioso Taurasi Riserva 2009 di Perillo a spazzare via ogni ragionevole dubbio!

Sono questi i racconti del calice, una ventata di aria pulita, gioiosa e familiare, che si alza dal mare fin sopra ai monti, e porta con sé il profumo dei colori, dei fiori, delle fate del bosco, d’un battito d’ali, dell’anima di questa terra straordinaria: la mia Campania!

Non farò la lista dei miei assaggi migliori, non è questa la finalità della degustazione per me alle Anteprime, ma come mia abitudine citerò l’etichetta che mi ha colpita in modo particolare:

Sannio Aglianico Riserva Arcano 2016 – Terre Stregate

Campania Stories 2021 è appena cominciata e non finisce qui! Parlatene, parlatene, parlatene ancora! Di questa Terra, di questo Mare, della sua bellezza, della sua Arte, delle sue tradizioni e di questi suoi Vini straordinari! Parlatene! Perché resti per sempre una storia infinita!

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