Mi ci è voluto un po’ di tempo per “decifrare” Francesco De Sanctis. È un ragazzo schivo e riservato che non lascia entrare chiunque nel suo mondo. La famiglia De Sanctis, nella sua elegante struttura, ospita tantissimi avventori che, da appassionati di vino e di tipicità e autenticità, si spingono oltre i confini della Città Eterna per scoprire questo piccolo gioiello enologico del Lazio.

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Ospitare e illustrare a cuore aperto però è cosa ben diversa dal lasciarsi compenetrare nel proprio io. Chi mi legge sa bene che questo per me è un passaggio fondamentale per poter raccontare la storia di una Cantina, dei suoi vini, e dei suoi protagonisti.

La terza visita è stata quella decisiva! Un pomeriggio passato tra vigna, cantina e molto altro durante il quale sono riuscita a mettere a fuoco la personalità di Francesco. Un puzzle fatto di numerosi pezzi che finalmente si legano tra loro in un quadro armonico e completo. Nato tra i vigneti dell’azienda di famiglia, fondata nel 1816, abbraccia il suo destino di Vigneron a 360 gradi e si trasferisce a Cormons, alle pendici del Collio Friulano, sede della Facoltà di Enologia dell’Università di Udine.

Il racconto di Francesco comincia da qui, mentre passeggiamo tra i vigneti che d’inverno hanno un fascino tutto particolare, quasi struggente oserei dire. Le viti, specie le più vecchie, nella totale nudità mostrano la loro silhouette armonica e sinuosa, e la luce del crepuscolo rende tutto particolarmente suggestivo. Sono 35 gli ettari a conduzione biologica che ospitano le varietà tipiche del Frascati DOC e Superiore DOCG: la Malvasia Puntinata, il Bombino la Malvasia di Candia e il Trebbiano. Mi soffermo ad ammirare alcune piante davvero monumentali!

“Sono le viti che pagano il mutuo, diceva sempre mio nonno!” mi racconta Francesco

“Ma le viti così vecchie non sono poco produttive?”

“Non la Malvasia. Più cresce e più produce, e l’uva è davvero buona!”

Continuiamo a passeggiare tra i filari, e la morfologia delle viti cambia improvvisamente. Abbiamo appena varcato la soglia dell’ettaro più caro a Francesco. È la sua creatura, un amore nato e consolidato quando era a Cormons: il Cabernet Franc. Ci è voluto un po’ di tempo per vincere le perplessità di papà Luigi, ma le scelte fatte col cuore alla fine si rivelano sempre indovinate! Non sarebbe la prima volta che un giovane innamorato di un vitigno alieno al territorio si intestardisca per provare a coltivarlo, e per quanto ne sappia sono state sempre storie a lieto fine!

“Il Franc lo raccogliamo per ultimo ovviamente. Quest’anno, a qualche giorno dalla vendemmia, è venuta giù una grandinata in piena notte. Sono corso in vigna a controllare, e ho radunato immediatamente la squadra dei vendemmiatori! Abbiamo raccolto tutto quella notte. La gente mi prende per pazzo, ma sono le mie creature. Tu non ti alzavi di notte a controllare che fosse tutto a posto nella stanza dei tuoi figli?”

Non fa una piega! È capitato col suo Cabernet Franc, ma Francesco l’avrebbero fatto comunque. Sono le sue creature, il frutto di un anno di lavoro, pronte a “morire” per risorgere a nuova vita, nei tini prima, in bottiglia poi, fino ad arrivare nei nostri calici a regalare attimi di gioia intensa . Quando si parla di vini fatti con amore e dedizione, si parla di Francesco De Sanctis e di tutti quelli che come lui credono in un processo di lavoro a filiera molto corta, che impatta il meno possibile sull’ambiente, tutelando sia il consumatore che la natura.

Il legame dell’uomo con la Natura non è una semplice fantasia bucolica dal potente effetto evocativo. È un legame vero e profondo che a volte crea un intreccio di destini indissolubile. E così, quando il nonno di Francesco se n’è andato, la sua pianta di Malvasia più vecchia e cara lo ha seguito nel suo viaggio in un’altra dimensione. Questa vite enorme è esposta nella cantina d’affinamento tra le botti di legno. Recentemente è stata dipinta sulla facciata della cantina come simbolo della sua storia secolare e della vita che si rinnova di anno in anno. Un’ispirazione venuta a Francesco durante la sua recente visita in Champagne.

È curioso Francesco, non si sente mai arrivato, e cerca sempre ispirazione e stimoli che lo aiutino a migliorare nell’interpretazione e nel racconto del suo territorio. Di ritorno da una settimana di pausa passata sulle piste dolomitiche del Trentino, mi racconta difatti di essere stato ispirato dai bianchi di quella zona, così freschi e verticali. Uno stile che si sta impegnando a replicare nella produzione dei suoi vini. All’assaggio dai tini, l’annata 2022 mostra una spalla acida notevole e una concentrazione di aromi davvero deliziosa. Del Cabernet Franc poi, per quanto fosse in uno stadio davvero embrionale, ne avrei bevuto a litri e, ancora così giovane, non sfigurava affatto rispetto al fratello maggiore in affinamento nelle botti di legno.

La mia visita è terminata con un aperitivo tra arte, pianoforte, e racconti di barca a vela, le altre passioni di Francesco che ci accomunano, compresa quella per il Pinot Nero di Borgogna. Abbiamo stappato un Pinot Noir Vieilles Vignaes di Albert Bichot e poi, per una comparativa davvero alternativa, anche una bottiglia di Juno, il suo Cabernet Franc. Impossibile fare paragoni tra due territori e due vitigni così lontani! Una cosa però ve la devo dire: per finezza e piacevolezza di beva, Juno ha tenuto egregiamente il passo rispetto al cugino di Borgogna.

Il sole è tramontato, è ora di andare, e Francesco, nel salutarmi, mi omaggia di una bottiglia di Kerner di Abbazia di Novacella. È un bianco che lo ha colpito particolarmente per finezza e verticalità, e vuole farmi capire in modo chiaro e diretto dove sta puntando con i suoi vini. L’ho stappato oggi e vi assicuro che, per quanto fosse davvero delizioso, i vini di De Sanctis non hanno nulla da invidiare ai grandi bianchi italiani, solo lo svantaggio di dover risalire la china del pregiudizio che ancora penalizza la denominazione del Frascati.

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